Miti e fatti sull'acustica degli studi I: Analisi e Parametri

Il progettista acustico italiano DONATO MASCI di Studio Sound Service introduce una serie di articoli basandosi sulle sue misurazioni e sull’esperienza delle diverse sale che ha progettato e costruito.

1.1 Introduzione

Il lavoro di un progettista acustico è piuttosto delicato perché richiede di progettare ambienti il più possibile adeguati alle esigenze dei propri clienti, ma bisogna cercare di rispettare i requisiti acustici per ogni tipo di sale. Ci si sente spesso come un sarto che cerca di cucire un vestito a un cliente, rispettando le sue richieste, ma evitando di mettere in mostra i suoi difetti: uno dei miei compiti più delicati è infatti quello di cercare di correlare le informazioni che ricevo dai miei clienti con dati e ragionamenti scientifici, e il problema è che alcune di queste non sono propriamente scientifiche e qui inizia la parte difficile. In questi anni ho avuto rapporti di lavoro più frequenti con addetti ai lavori de altri paesi e sono rimasto particolarmente sorpreso da come molte richieste o tendenze del mercato che consideravo tipicamente italiane siano in realtà assolutamente internazionali. Da qui è venuta l’idea di fare una specie di compendio di queste opinioni e “credenze” e un’analisi statistica dei parametri acustici misurati negli studi in cui ho lavorato, tentando di dare una spiegazione tecnico-scientifica e di trarre delle conclusioni in merito, magari utili anche ad aprire un dibattito con i colleghi.

1.2 Miti da sfatare: “credenze”, tendenze del mercato e linee di pensiero

In questa serie di articoli tenterò di trovare delle risposte, o quantomeno delle motivazioni, basandomi su osservazioni e criteri scientifici alle seguenti affermazioni ricorrenti:

  1. non si può mixare in stanze troppo grandi, troppo piccole, col soffitto alto, col soffitto basso;
  2. bastano dei pannelli o tube-trap per rendere una sala mix idonea per lavorare;
  3. non mi piace l’ascolto col sub-woofer;
  4. alcune casse suonano “troppo” bene per poter essere utilizzate nel mix;
  5. i big monitor sono utili soltanto per far sentire il mix ai clienti ad alto volume, non sono utili per mixare... mancano di definizione;
  6. non voglio montare le casse in-wall perché posso evitarlo e, così, sostituirle facilmente in futuro, inoltre se devo spostarle per un fine-tuning lo potrò fare;
  7. i near field hanno molta più definizione;
  8. l’auto-calibrazione non serve a niente se una sala è trattata bene;
  9. il trattamento acustico non serve a niente se ho l’auto-calibrazione.

1.3 Considerazioni iniziali sull’acustica degli studi di registrazione

Nella comunità audio-pro è ormai assodato (anche se molti addetti ai lavori non ne sono ancora al corrente!) che la control-room debba essere un ambiente con caratteristiche acustiche più neutre possibili, ed in particolare, seguendo anche le linee guida AES (AESTD1001.1.01-10):

  • il tempo di riverberazione ottimale da 200 Hz in su dovrebbe assumere un valore di circa 0.25 s per sale di 100 m3, e sulle basse frequenze può salire fino a circa 0.75 s; per sale più piccole (o più grandi) i valori ottimali si riducono (o allungano);
  • la risposta in frequenza dovrebbe essere più flat possibile, meglio se compresa tra ± 3 dB (anche se forse molti non sanno che la maggior parte delle casse considerate “professionali” hanno già un errore di ± 5 dB in camera anecoica!);
  • le prime riflessioni dovrebbero essere inferiori di almeno 15 dB dal suono diretto.

La prima cosa che guardano i fonici, sarà perché forse il suo grafico è anche più facilmente intuibile, è la risposta in frequenza. Su questo concetto si sono dette tante cose, e non mi voglio soffermare ulteriormente. Purtroppo però molti considerano soltanto questo parametro, non sapendo che, per sale non trattate, capita spesso che la risposta in frequenza sia piuttosto piatta (a parte un’enfatizzazione fisiologica delle basse frequenze, che si può facilmente correggere con un filtro roll-off o qualcosa di analogo, che generalmente hanno tutti i più famosi loudspeakers). Il problema, in questo caso, è che, pur avendo la risposta flat non si ha una definizione sonora sufficiente per poter mixare, soprattutto alle basse frequenze. Il motivo è che la componente del suono diretto della cassa che giunge al punto d’ascolto, è “colorata” dalla componente del suono riflesso e riverberato dalla stanza. Chiaramente, il tempo di riverberazione gioca un ruolo fondamentale, e d’altro canto, se fosse particolarmente basso, renderebbe l’ascolto non confortevole e molto distante da qualsiasi ambiente “normale”: ecco perché si fissano dei valori ottimali relativi a questo parametro. Dall’analisi che ho fatto degli studi che mi vengono presentati prima di un intervento di correzione acustica, emerge che una piccola parte dei clienti mi propone stanze assolutamente non trattate; un’altra, più consistente, con trattamenti self-made effettuati con soluzioni varie viste su internet, ma che spesso non coinvolge in modo corretto le basse frequenze; infine, la grande maggioranza tratta i loro ambienti semplicemente con pannelli fonoassorbenti piramidali, o similari. Quello che ne consegue è che queste sale sono particolarmente colorate in frequenza, ottenendo il contrario di quello che si richiede ad uno spazio del genere, ossia la neutralità. Come si vede dal grafico dei tempi di riverberazione ante-operam (fig. 1), il livello medio è sopra il valore ottimale, considerando che le sale analizzate hanno un volume medio di circa 60 m3, ma il dato più importante è che la varianza dei valori è molto elevata, soprattutto nel range delle basse frequenze.

Nel grafico dei tempi di riverberazione post-operam (fig. 2) si nota che:

  • vi è un abbattimento sostanziale dei tempi, soprattutto quelli a bassa frequenza;
  • il valor medio @ 63 Hz è 2 volte circa il valore @ 500 Hz, mentre prima era 3 volte;
  • la varianza dei valori è notevolmente ridotta, rimangono fisiologiche discrepanze (leggere) tra studi di dimensione differente;
  • non ci sono studi con tempi di riverberazione superiori a 0.65 s @ 63 Hz.

Fig. 1 tempi di riverberazione T30 misurati nelle sale prima di un trattamento acusticoFig. 2 tempi di riverberazione T30 misurati nelle sale dopo un trattamento acusticoFig. 3 tempi di riverberazione T30 misurati in sale selezionate dopo un trattamento acustico

Per sale selezionate in base alla qualità d’ascolto soggettiva (fig. 3), questo trend è ancora più evidente. Come traspare dalle linee guida AES, e come si vede anche dai grafici, i valori ottimali del tempo di riverberazione sono relativi al volume della stanza. Quindi non si può rispondere alla domanda “che tempo di riverberazione deve avere una control-room?” senza saperne il volume, perché in realtà l’aspetto che è più legato alla definizione del suono è la percentuale dell’energia sonora diretta rispetto a quella riverberata che giunge all’ascoltatore.

1.4 Altri parametri acustici negli studi di registrazione: energia vs. tempo di riverberazione

Per i motivi esposti, ho ritenuto interessante studiare l’acustica delle control-room con dei parametri di tipo “energetico”, che si utilizzano generalmente in acustica architettonica (teatri, auditorium etc.) e definiti dalla normativa ISO3382, di cui però non sono presenti dei valori ottimali in letteratura (o almeno non li ho mai trovati!) relativi agli studi di registrazione. I criteri energetici più comuni sono la Clarity (C50 o C80) e la Definition (D50), che in pratica stabiliscono delle relazioni tra l’energia sonora considerata “costruttiva”, ossia quella che giunge entro i 50 o 80 ms dal suono diretto e lo “rafforza”, e quella totale. Si capisce facilmente perché questi parametri, ideati per i grandi ambienti dove è necessario rafforzare alcune prime riflessioni per “amplificare” il suono diretto di una sorgente posta su un palco, non siano assolutamente utilizzabili per le regie audio dove invece, solitamente, si “uccidono” le prime riflessioni che tendono a colorare il suono diretto. Inoltre, e questo è un problema comune e oggetto di discussione anche in acustica architettonica, questi parametri presentano una notevole varianza tra posizioni non lontane e risentono delle riflessioni a cavallo del limite di integrazione (50 o 80 ms), rendendoli praticamente spesso inutilizzabili. Ho trovato invece molto interessante l’analisi di un altro parametro, chiamato Center Time o Barycentric Time1 (Ts), che esprime in pratica il tempo dopo il quale l’energia arriverebbe al punto di misura se fosse “impacchettata” in una singola riflessione,

La cosa notevole è che questo parametro assume valori molto simili per gli studi trattati, e ancora più simili per studi “selezionati” tra quelli che “suonano meglio”. Nessuna variazione sostanziale relativa al volume della stanza: quindi è un parametro, a mio parere, assoluto, che determina dopo quanto tempo si preferisce l’arrivo dell’energia sonora media alle varie frequenze. Nei grafici in fig. 4-5-6 si nota come questo parametro, per sale più corrette acusticamente, tenda ad un valore medio, indipendentemente dal volume della sala stessa.

Fig. 4 Center time Ts misurato nelle sale prima di un trattamento acusticoFig. 5 Center time Ts misurato nelle sale dopo un trattamento acusticoFig. 6 Center time Ts misurato in sale selezionate dopo un trattamento acustico

1.5 Conclusioni e miti “sfatati”

Sulla base dei risultati mostrati posso affermare che il problema più grave nelle sale non trattate, e in particolare di quelle trattate male, siano le basse frequenze.

Al punto 1. si può rispondere dicendo che gli ambienti possono essere di varia dimensione, basta che il tempo dopo il quale giunge l’energia sonora media al punto d’ascolto, sia in linea con i risultati di Ts osservati. Le stanze piccole comunque rimangono problematiche per le onde stazionarie concentrate in un range contenuto di frequenze e spesso provocano nel parametro Ts dei picchi indesiderati. Per stanze troppo grandi forse la distanza tra il punto d’ascolto e la cassa potrebbe essere talmente grande da causare perdite di definizione, ma non ho mai progettato stanze così grandi...

Il punto 2. è falso, perché per effettuare una correzione acustica efficiente fullrange si deve mettere veramente una grande quantità di materiale assorbente, tale da lavorare bene a bassa frequenza: gli spessori dei pannelli rimovibili non sono adeguati allo scopo.

Il punto 3. e 4., secondo me, derivano semplicemente dal fatto che spesso si hanno sale così “colorate” da portare l’utente ad apprezzare meglio casse che non scendano così in basso in frequenza. Uno dei motivi per cui non piaccia a molti l’ascolto col subwoofer è proprio questo, unito anche al tempo di rilascio del sub stesso, che, in alcuni casi, è troppo lungo e può andare ad inficiare sui valori del Ts, allungandoli a bassa frequenza.

Footnote
Donato ringrazia la sua business partner Francesca Bianco di Proaudio Consulting per aver revisionato il testo e la sua collega di Studio Sound Service, Valentina Cardinali, per la sua pazienza, collaborazione quotidiana e utili conversazioni.